Al fresco ristoro dei giardini di Ravenna

“Il luogo migliore per trovare Dio è in un giardino. E’ là che si può scavare per trovarlo.”

George Bernard Shaw

1321 – 2021 sono 700 anni che il nostro grande Sommo poeta Dante Alighieri ha lasciato questa terra per recarsi in luoghi probabilmente a lui più noti, tanto ne scrisse in vita! A Ravenna siamo pronti per celebrarne in maniera particolare la dipartita e gli anniversari. La sua tomba bianca e immacolata ha dato nome a quella parte della città chiamata luogo del silenzio, meta di numerosi pellegrini amanti della Divina Poesia. Dopo avergli reso omaggio vi suggerisco oggi una magnifica passeggiata alla scoperta degli spazi verdi cittadini.

Cripta Rasponi

A pochi passi da questo sacro sepolcro ci dirigiamo alla scoperta un angolo incantato, leggermente sospeso che guarda ai tetti della città e alla chiesa di San Francesco, uno degli spazi più intimi e suggestivi dove rifugiarsi per assaporare attimi di silenzio: sono i Giardini Pensili del Palazzo della Provincia. L’accesso al giardino, in cui domina al centro una bella fontana in pietra e marmo, si trova all’interno del portico di Palazzo Rasponi, che conserva anche la cripta posta alla base di una torretta neogotica. Si tratta della cripta Rasponi destinata alla cappella gentilizia della nobile famiglia Ravennate. La parte più significativa di questa minuscola cappella è il pavimento a mosaico, assemblaggio di frammenti disposti in maniera casuale con motivi ornamentali, figure di galline, anatre, oche, teste di ariete e serpenti, colti in atteggiamenti spontanei ed animati dall’uso di smalti che ne esaltano la ricchezza cromatica. A fianco dell’uscita una scala sale fino al belvedere davvero unico e insolito, il giardino pensile dal quale si accede al contiguo terrazzo sopra il voltone, costruito nel 1839, e che serviva a collegare il Palazzo Rasponi alle scuderie e ai magazzini. La nobile dimora in epoca rinascimentale era conosciuto per il grande giardino interno di cui oggi si conservano soltanto il parterre e la zona pensile. La parte in basso è all’italiana, con cespugli di bosso potati geometricamente e il cui punto focale è costituito appunto dalla fontana dell’architetto Arata. Sulle terrazze si trovano invece i resti del tempietto neoclassico, piante rampicanti e cespugli di rose bianche a ricreare l’atmosfera romantica di un tempo. La terrazza più alta in realtà è stata aggiunta solo nel XX secolo. Mi piace immaginare che qui anche Lord Byron con la sua amata Contessina Guiccioli si siano persi in giochi di amoroso sapore.

Giardini Pensili

Il nostro percorso continua attraverso il passato affascinante di vecchi giardini. A  volte ne incontriamo di selvaggi e abbandonati, che non ricordano più l’ultimo tocco delle mani; altri cresciuti spontaneamente intorno a case senza eredi, nella spontanea impresa di avviluppare muri di palazzi antichi con i loro verdi rampicanti. Infine ce ne sono di ben preservati e amati capaci, grazie alla cura dell’uomo, di sopravvivere al passaggio del tempo portando seco racconti che qualcuno va a riscoprire mettendoli a disposizione di tutti. A Ravenna ne esiste uno così, se da piazza san Francesco ci addentriamo infatti verso la piazzetta dell’Arcivescovado, magari ponendo un occhio al’antichissimo battistero Neoniano, girato l’angolo scopriamo incantevole fazzoletto di terra coltivata questa volta ad erbe antiche e semplici: si tratta del Giardino delle Erbe Dimenticate. Appena voltato l’angolo ci troviamo innanzi ad un cancello di ferro che spalanca le sue ali sul lussureggiante giardino magico, come quello delle favole, la cui storia comincia nel lontano 1780. Fu Camillo Morigia, lo stesso architetto di ambito neoclassico cui si deve anche la tomba di Dante Alighieri che ne realizzò il primo portico, insieme ad altri interventi di abbellimento del Palazzo Rasponi Murat. Quando si entra in questo spazio, il tempo, i suoni e tutta la frenesia della città scompaiono come per magia. Pian piano al loro posto inizia ad aleggiare in aria il profumo di queste piante, tutte accuratamente selezionate e i cui nomi sono segnalati in piccole targhette poste ai piedi di ciascuna e ricostruite filologicamente in aiuole di erbe mediterranee e altre specie meno note, tramandate nei ricettari degli speziali. Piante di cappero e pungitopo, cicoria, carciofi e tante altre. Un vialetto circolare reca al centro dove si trova la fontana con il suo quieto rumore di acqua che riesce a sconfiggere anche i più tristi pensieri. Se porterete con voi un libro, questo è il luogo perfetto per abbandonarsi nelle sue pagine e fermare il tempo in una dimensione indefinita. Dal 2020, il Giardino Rasponi, questo il suo nome originario, ospita al proprio interno anche una piccola bottega-bistrot all’aperto che offre ad orario continuato gastronomia fredda, focacce, pan brioche farciti e dolci da gustare seduti ai tavolini, tra le aiuole di erbe aromatiche e all’ombra degli alberi in fiore, la bottega propone anche prodotti a scaffale e da banco, come conserve, pasta secca, vini, formaggi e salumi regionali.

Giardino delle Erbe dimenticate

Dopo la pausa mangereccia continuiamo la nostra esplorazione recandoci in visita ad un altro storico  giardino, trattasi di un ex convento, quello degli Agostiniani, oggi conosciuto come Complesso di San Nicolò. Torna il nome del Morigia, cui si deve la risistemazione quasi attuale, prima dei ventennali lavori tra gli Anni ‘70 e il 2001 che hanno recuperato completamente la struttura. La chiesa ha una storia lunghissima ed è l’unica di Ravenna che possiamo definire davvero gotica. I due chiostri con giardino, risalgono rispettivamente al 1600 e al 1700, qui immaginiamo uomini di chiesa e viandanti che sostavano in meditazione. Si ipotizza che  il chiostro est, confinante con la chiesa e che annovera tra le specie arboree gli abeti rossi, il prugno selvatico e l’alloro, fosse nella zona deputata alla clausura; mentre il bel giardino alberato del chiostro ovest, con la grande magnolia al centro, il cedro, i bossi e gli agrifogli, fosse di fronte alla “zona della merenda”, il refettorio. Anche qui troviamo un pozzo posto al centro che poteva presumibilmente servire ad attingere l’acqua per la cucina. Ma ancora una volta sono minuscole tessere colorate e preziose a farla da padrone grazie al tocco contemporaneo del salottino di mosaico “Kakehashi” degli artisti giapponesi Hitoshi e Tokako Shiraishi  che lo rendono decisamente unico nel suo genere.Giunge quindi il momento di lasciare la città, e così imbocchiamo viale Roma in prossimità di Porta Nuova, dove si affaccia anche l’antico complesso di Sant’Apollinare Nuovo. Alla fine del viale scorgerete sulla vostra sinistra un edificio in mattoni tipico dell’architettura ravennate, si tratta della Loggetta lombardesca sede del MAR (Museo arte della Città) e dietro i grandi spazi aperti dei Giardini pubblici di Ravenna. Furono in passato rispettivamente sede di un ippodromo, di un velodromo e persino di un campo da calcio, per essere poi trasformati, negli anni Trenta, nei Giardini Pubblici su progetto dell’architetto piacentino Giulio Ulisse Arata, lo stesso della fontana dei Rasponi. Vi si accede attraverso una splendida cancellata in ferro, con al centro una fontana, al suo interno, alberi ad alto fusto di grandi dimensioni lo punteggiano di piacevoli oasi ombreggiate. Vi consiglio di consultare i calendario degli eventi perché spesso al loro interno troverete allestiti mercatini e manifestazioni a tema.

Buon verde a Tutti!

Loggetta Lombardesca particolare dei giardini

Il Barbaro colto

“Re o governanti non sono coloro che portano con sé uno scettro, ma quelli che sanno comandare”

Socrate

Ravenna città di antiche memorie conserva le vestigia di un antichissimo palazzo il cui proprietario era molto conosciuto alla fine del V Sec. D.C. per essere stato spietato, assassino e spregiudicato. Forse anche ossessionato, di lui e della sua imponente corte di dignitari con nomi altisonanti quali Simmaco, Cassiodoro e Boezio molto è stato scritto.

Oggi camminando per la città sembra quasi di sentire ancora la sua presenza. Quel Re che in realtà diede col suo governo lunghi anni di prosperità e pace ai suoi sudditi è meglio noto con il nome di Teodorico il Grande la cui fede religiosa venne definita eretica conducendolo nei secoli, ad essere in qualche maniera dannato per aver abbandonato l’ortodossia e morendo nel peccato indicato come un demone.

Mosaico Battistero degli Ariani (part)

A Ravenna si trovano il suo Palazzo, la Cappella Palatina, la Tomba mausoleo e il Battistero cosiddetto degli Ariani, i suoi seguaci nella fede. Teodorico Rex Gentium trascorse molti anni in città lasciando tracce che ci raccontano storie incredibili di cui la sua è quella più misteriosa.
La visita potrebbe prendere avvio dal sagrato della Chiesa Palatina, oggi Sant’Apollinare Nuovo, le cui pareti a mosaico presentano figurazioni in parte modificate dopo la morte del Re al fine di decretarne la damnatio memorie. Sulla parete superiore delle navate restano però anche originali messaggi commissionati dal grande sovrano con episodi unici dell’Antico Testamento che qualcuno ha anche definito il Vangelo secondo Ravenna. Del suo meraviglioso palazzo rimane l’indelebile memoria nello stesso ciclo musivo, il suo fasto era tale che qui venivano portati gli ambasciatori in visita a Ravenna perché attraverso esso stimassero la grandezza del suo regno. Di fronte si trova la meravigliosa città di Classe con le navi e il porto circondato dalle mura romane, anche questo un messaggio di grande prestigio che connota la grandezza del potere di Teodorico estesa ad ogni parte della città.
Ma da dove arrivava il grande Re?
Fu inviato in Italia dall’imperatore di Costantinopoli Zenone per sconfiggere il re degli Eruli Odoacre e riprendere il possesso dell’antico Impero Romano. Ma Teodorico era un barbaro di Pannonia cresciuto alla corte di Bisanzio imparando il latino e il greco e abituato ad apprezzare la bellezza dei mosaici sfavillanti di oro e colori. Non un semplice rude soldato quindi, ma un uomo scaltro e colto che dopo la sua vittoria contro Odoacre mostrò immediatamente un’ammirazione indiscussa per la “romanità “intraprendendo grandi opere di edificazione e restauro nella città già antica Capitale. Cassiodoro con le sue parole ce lo testimonia: “Theodoricus acquam Ravennam perduxit…” un regalo del Re ai Ravennati in una città senz’acqua nonostante il mare.

Ravenna – cosiddetto Palazzo di Teodorico

Se si trovavano appese lancia e scudo era segno di pace… ancora oggi nel sottosuolo tra gli scavi giacciono enormi tappeti di pietra e parti delle antiche fondamenta. Teodorico amava il mare ed è noto che egli avesse un triclinio a mare al quale si accedeva ad est del Palazzo.

Lasciato il Palazzo e i suoi mosaici appesi, ci possiamo adesso spostare in Piazzetta degli Ariani dove si trova un curioso edificio visibilmente interrato almeno di un metro e mezzo e a forma ottagonale. Si tratta del Battistero degli Ariani di cui resta la decorazione musiva solo sulla cupola. Qui si celebrava, per immersione, il sacro Battesimo e così il fiume Giordano è stato raffigurato come un vecchio con la barba fluente, mentre affianca il cristo immerso nelle acque circondato dal corteo degli Apostoli in una scena mirabilmente rappresentata in un paesaggio ameno di palme e fiori. Teodorico era Ariano e con lui i suoi seguaci ai quali volle dedicare luoghi di culto riservati e separati da quelli ortodossi. Ma per questo nobile e intelligente gesto pochi lo apprezzarono, più semplice fu condannarlo per eresia.

E siamo giunti nella Piazza centrale di Ravenna, detta del Popolo, dove a questo punto possiamo dilettarci in una sorta di caccia al tesoro di Teodorico. A lato del palazzo veneziano del Comune sono infatti stati messi in opera alcuni capitelli recuperati da un’antica chiesa teodoriciana oggi scomparsa, dove si nota il monogramma di Teodorico che ci rimanda alla sua memorabile presenza in città.

Spostandoci invece in direzione dell’attuale stazione ferroviaria si trovano alcuni lacerti di mura andate distrutte assieme alle due antiche porte: Artemetoris, accesso alla tomba del grande Re e Porta Palazzo con due torri poste all’ingresso del palazzo. Un tempo un cordone di dune correva parallelo alla linea di costa (perché il mare era accanto alla città) e venne utilizzato per la sepoltura dei Goti. Scavando è stato scoperto un tesoro riconducibile al nostro e chiamato la Corazza di Teodorico, tanto che i bambini si dilettavano ad un gioco chiamato la “pignattazza” che consisteva nello scavare grandi buche dove trovare il Tesoro Di Teodorico

Siamo ormai giunti al termine della nostra passeggiata sulle orme del Grande Re “barbaro colto” e oggi dove sorge il suo mausoleo, ci sono i giardini pubblici della città a lui intitolati. Il mausoleo si presenta davvero con una struttura architettonica insolita, molto studiata ancora oggi, che all’interno conserva il sarcofago in porfido rosso come si conveniva ad un grande re o imperatore. Ma è a questo punto che arriva la più nota leggenda di Ravenna…

Tomba di Teodorico

La cupola dell’edifico è attraversata da un’evidente crepa che si dice causata dalla caduta di un fulmine. Quando il Re, infatti, era ancora in vita gli fu predetto che sarebbe morto a causa di un fulmine e così egli decise di rifugiarsi qui ogni volta che c’era un temporale. Ma il destino non si sfugge e una saetta precipitò dal cielo squarciando la cupola e trafiggendolo a morte.

Egli morì a Ravenna il 30 agosto del 526 dopo anni di tormenti e timori nei quali fu accompagnato dalla costante paura che qualcuno attentasse alla sua vita. Altre leggende sulla sua fine vennero narrate da Carducci al grande Procopio di Cesarea…scaraventato nella bocca di un vulcano, caduto a terra per la visione di un pesce rosso servitogli sul piatto con la testa di Simmaco da lui fatto assassinare. Gli storici ci parlano piuttosto di una forte dissenteria che lo rese consapevole della morte dopo 33 anni di regno tra saggezza e contrasti, vittorie e risentimenti…ma nonostante tutto passeggiando per Ravenna ancora oggi di Teodorico si ricorda solo quanto fosse stato Grande.

Per un buon pasto in zona, consiglio la storica Trattoria Al Gallo 1909 locale storico d’Italia. Si trova in Via Maggiore nel Borgo San Biagio. Al suo interno si custodiscono tra tavoli imbanditi quadri, sculture, vetrate liberty e art decò. Il cibo è semplicemente raffinato ed ottimo nel pieno rispetto della tradizione Romagnola!

Ravenna – Antica Trattoria al Gallo

La contessina ravennate che conquistò il poeta romantico

“Al mondo non ci siamo che noi che non possiamo e non dobbiamo cessare di amarci”

Lord Byron

Visitare Ravenna a piedi passeggiando per il suo centro storico significa passare da un secolo ad un altro, quasi senza soluzione di continuità. Strade che ripercorrono gli antichi corsi d’acqua che attraversavano la città in epoca medievale, sono oggi tutte elegantemente ricoperte di un bel laterizio bianco che, come un tappeto, si srotola a segnare il percorso ciclabile in pieno centro. Immaginate quando la città, all’inizio del 1800 aveva ancora un selciato di terra e polvere, e attraversarla in carrozza era come arrivare oggi in jet privato in una qualsiasi città del ventesimo secolo. Un mezzo per pochi ricchi, spesso blasonati personaggi o semplicemente prestigiosi viaggiatori del Grand Tour. Se cercate bene, passeggiando verso il Mausoleo di Galla Placidia sito UNESCO, vi imbatterete in una strada dal nome davvero curioso: Gamba! Ed è sempre una gamba stilizzata che sta a corredo del civico 6 di quella via sopra il portone d’ingresso di un palazzo settecentesco. È qui che viveva un Conte ravennate a cui venne promessa e data in sposa, una giovane ragazza dai capelli biondi quando aveva forse solo 20 anni e lui 57. Teresa Guiccioli Contessa Gamba e Marchesa di Boissy, una serie di nomi a segnarne ufficialmente il percorso coniugale ma non certo quello del cuore, perché se il cuore avesse potuto, un solo nome si sarebbe dato: Teresa Guiccioli Byron!

Teresa Guiccioli in Gamba

Da Venezia a Ravenna, passando per Ferrara e Bologna dopo una prima tappa in Grecia e altre città europee, fu questo il lungo viaggio formativo del giovane e affascinante poeta inglese diventato egli stesso sinonimo di Romanticismo. George Gordon Noel sesto barone di Byron, semplicemente conosciuto come Lord Byron, il poeta amante della libertà, dal temperamento malinconico e appassionato che condusse una vita intensa all’insegna dell’anticonformismo degno di un vero Acquario. Tanti gli amori, i flirts e le belle donnine Veneziane nel suo carnet di affascinante biondo inglese, fino all’incontro fatidico con la giovane contessina della quale si innamorò perdutamente, ricambiato, e dalla quale non si separerà più fino alla dipartita patriottica in Grecia nel 1824.Era il 1819 ed essendo a Venezia con il marito la giovanissima sposa Teresa Gamba in Guiccioli, si trovò ad accompagnarlo presso il salotto della Contessa Benzoni, conosciuta in città come la biondina in gondoletta. Quella stessa sera anche Lord Byron si trovava tra gli invitati illustri, ma contro la sua volontà essendo ormai stanco di quella vita dissoluta fatta di belle donne, serate al gioco o a teatro e notti folli in giro per i caffe della Serenissima. La serata fu galeotta e i due si innamorarono all’istante. Un amore bruciante, passionale ma proibito, a meno di non volersi adeguare alla consuetudine che poteva almeno salvare le apparenze. Byron capì subito che quella dolce fanciulla originaria di Ravenna lo stava incantando e che quello sarebbe stato l’amore della sua vita. Teresa dal canto suo venne immediatamente colpita nell’animo da quell’uomo affascinante: “ Questa presentazione che ebbe tante conseguenze per tutti e due, fu fatta contro la volontà di entrambe…La nobile e bellissima sua fisionomia, il suono della voce, le sue maniere, i mille incanti che lo circondavano lo rendevano un cosi differente…” Queste le parole con cui la giovane romagnola avrebbe in seguito ricordato l’incontro nelle sue memorie. Fu quello l’esordio di un crescendo di appuntamenti, cambiamenti, dolori e gioie che avrebbero trovato dolorosa fine con la dipartita in Grecia del poeta.

Lord Byron

Lasciata Venezia i due amanti iniziarono ufficialmente la loro frequentazione a Ravenna città che il poeta amò fin da subito e di cui spesso parlò nei suoi poemi e nei suoi scritti. Arrivò in città per la prima volta nel giugno di quello stesso 1919 trovando alloggio presso l’hotel Imperiale che oggi potrete ammirare passando in via Corrado Ricci essendo stato trasformato nella biblioteca Oriani, proprio a fianco di Piazza San Francesco e nei pressi della Tomba di Dante. Da qui ogni giorno il nostro Lord inglese, di cui tutti già parlavano in città, si muoveva per incontrare la sua giovane musa. Il loro amore fu un’esperienza vissuta tra i luoghi del paradiso terrestre come quattro secoli prima per Dante, il poeta italiano per definizione, gli angoli di Ravenna furono di ispirazione, al tempo lo furono per il collega romantico Byron. I due amanti visitarono assieme i monumenti paleocristiani della città, le pinete che circondano ancora oggi il territorio e dove solevano rifugiarsi nei caldi pomeriggi. Spesso leggevano assieme i classici amoreggiando come due adolescenti trasformando presto il loro flirt in una relazione stabile.

Trascorso un anno Byron divenne ufficialmente il Cavalier Servente della Guiccioli, potendo all’epoca ogni sposa di rango elevato avere un amante/amico accettato anche dal marito allo scadere del primo anno di matrimonio. A quel punto la dimora ravennate di Byron divenne ufficialmente il primo piano di Palazzo Guiccioli sito in Via Cavour, edificio che sarà presto la sede della Byron Society. L’ufficializzazione del ruolo da cavalier servente avvenne invece a Palazzo Cavalli in Via Salara, 40 dove il poeta entrò accompagnato da sette domestici, nove cavalli, tre pavoni, due gatti, un mastino e un’oca.

Delta del Po

La loro storia d’amore divenne simbolo dell’amore romantico fatto di passione, dolore, lunghe missive, attese trepidanti tanto da far piu volte ammalare di febbre la giovane donna la quale si appellava al suo amante come sola cura possibile. Il marito di Teresa ovviamente venne ben presto a conoscenza della relazione, d’altro canto ufficializzata in qualche maniera. Byron seguiva la sua musa a Bologna, presso la villa di Filetto nella campagna ravennate anche se a volte sofferente di una relazione quasi coniugale segnata anche dalla routine. Teresa presto si separò dal marito, tornando presso la casa paterna e infine seguì il suo amato a Pisa e Livorno. I due si amarono intensamente ma di un amore tutto sommato breve, unico e irripetibile per la giovane Teresa che solo 23 anni dopo la morte del suo Byron in Grecia sposò a Parigi il senatore conte Octave Rouillé de Boissy in un clima in cui la Francia era sotto Napoleone III. Byron sarebbe rimasto sempre nel suo cuore e per questo decise di scrivere una biografia del poeta “Vie de Lord Byron en Italie”, mai pubblicate e gelosamente custodite presso la Biblioteca Classense di Ravenna.

Rimasta vedova Teresa fece ritorno in Italia, era il 1866 e vi morì a73 anni.  

“Mia carissima Teresa, ho letto questo libro nel tuo giardino; amore mio, tu non c’eri. Tu non capirai queste parole inglesi, e altri non le capiranno, ecco la ragione per cui non le ho scarabocchiate in italiano. Ma riconoscerai la calligrafia di colui che ti amò appassionatamente, e capirai che, su un libro che era tuo, poteva solo pensare all’amore. In questa parola, bellissima in tutte le lingue, ma soprattutto nella tua – Amor mio – è compresa la mia esistenza qui e dopo. Io sento che esisto qui, e sento che esisterò dopo, per quale scopo lo deciderai tu; il mio destino riposa con te, e tu sei una donna di diciotto anni…Io ti amo e tu mi ami o almeno, cosi dici, e agisci come se mi amassi, il che comunque è una grande consolazione. Ma io ancor più ti amo e non posso cessare di amarti. Pensa a me qualche volta, quando le Alpi e l’oceano ci divideranno, ma non sarà cosi a meno che tu non voglia”.

Palazzo Guiccioli esterno